Lo stralcio dell’emendamento sulla certificazione di filiera dal disegno di legge annuale sulle piccole e medie imprese – il cosiddetto Ddl Pmi – segna un passaggio rilevante per la filiera della moda, anche in Toscana. La decisione di separare dal testo principale del provvedimento, nel passaggio alla Camera, gli articoli da 26 a 30, compreso l’articolo 30 che introduceva l’esonero di responsabilità penale per i committenti in presenza di una certificazione di filiera, è arrivata al termine di un confronto politico e sindacale acceso, e rinvia a un secondo momento l’adozione di misure organiche contro i fenomeni del caporalato e del lavoro nero. Un tema che sta attirando, in questo momento, una forte attenzione anche da parte della magistratura, come testimonia la recentissima inchiesta della procura di Milano.
Le prime voci soddisfatte vengono dal sindacato, che aveva parlato subito di “scudo penale” a indebito vantaggio dei capifiliera. “Una vittoria del sindacato unitario dei tessili, della Cgil, ma soprattutto del buon senso”, esultano Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, e Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil. “E’ un’ottima notizia, è il risultato della nostra importante azione sindacale”, afferma Daniela Piras, segretaria generale Uiltec. “Come sindacato – concludono Landini e Falcinelli – siamo pronti a sederci attorno a un tavolo con le associazioni datoriali del settore per condividere strategie e strumenti a tutela del Made in Italy e delle tante aziende serie, contro ogni forma di sfruttamento e illegalità”.
Scontro sulla certificazione di filiera, Urso sceglie il confronto
La norma proposta – e contestata soprattutto dopo inchieste shock che coinvolgono griffe di primissimo piano -, che è stata introdotta nel Ddl Pmi al Senato con un emendamento del governo e criticata dall’opposizione, esonera i committenti (imprese capofila, soprattutto nel settore moda) da responsabilità penale per abusi o sfruttamento nelle filiere produttive subappaltate, purché ottengano una certificazione di conformità. Questa ‘certificazione di filiera’, a carattere volontario, attesta la regolarità della catena di fornitura: a giudizio dei sindacati e dei partiti d’opposizione, tuttavia, rappresenta una sorta di paravento che indebolisce i controlli reali senza imporre obblighi vincolanti di due diligence.
Al termine della seduta di lunedì 15 dicembre del tavolo moda con le parti sociali, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso aveva già sottolineato la necessità di “un confronto immediato nel merito” per trovare in tempi brevissimi “una soluzione normativa più organica, efficace e condivisa di quella che, in una prima stesura, è stata inserita nel Ddl Pmi in corso di approvazione alla Camera”. Da lì la decisione, martedì 16, di sospendere l’esame in Commissione attività produttive alla Camera: ma solo il giorno dopo ancora è arrivato l’annuncio dello stralcio delle norme indicate, rinviando il confronto a ulteriori approfondimenti e a un tavolo tecnico con ministeri, associazioni di categoria e sindacati.
Il convegno di Prato, Cgil alla testa dei pro-stralcio
Il tema dello scudo penale – vero o presunto che sia – ha assunto un rilievo particolare a Prato, dove il modello produttivo della moda è caratterizzato da una forte frammentazione e da una catena di subappalti che negli ultimi anni ha mostrato evidenti criticità sul piano della legalità e delle condizioni di lavoro. Non a caso proprio a Prato il 16 dicembre si è svolto il convegno ‘No allo sfruttamento, sì alla qualità del sistema moda’, promosso dalla Cgil, che ha fatto da cassa di risonanza alle posizioni contrarie alla norma, all’indomani del tavolo moda e lo stesso giorno dell’esame del Ddl Pmi previsto in Commissione alla Camera.
In quella sede Maria Cecilia Guerra, deputata e responsabile lavoro del Pd, spalleggiata dalla senatrice Annamaria Furlan (Iv), ex leader della Cisl, e dal deputato Marco Grimaldi (Avs), ha annunciato l’unità delle opposizioni sullo stralcio perché “anche di fronte a un settore in crisi” come la moda “la risposta non può essere la giustificazione del para-schiavismo”. Musica per le orecchie della Filctem-Cgil nazionale e locale, che ha anche escluso operazioni di ‘scambio’ fra lo stralcio dell’articolo 30 e interventi su altre parti della normativa nel senso di un alleggerimento dei controlli.
Il convegno del 16 dicembre ha messo in evidenza anche alcuni numeri dell’economia pratese che rendono particolarmente sensibile il tema della responsabilità di filiera. Daniele Gioffredi, segretario generale della Cgil di Prato e Pistoia, ha ricordato che “qui a Prato abbiamo il 39% di part-time involontario, e siamo primi in Italia per natalità di imprese, gli ultimi in Italia per cessazione di impresa”. Un quadro che, secondo Gioffredi, indica “un sistema di apri e chiudi”, quello utilizzato dalle imprese cinesi per sfuggire ai controlli. “A gennaio avvieremo una campagna di informazione e mobilitazione nelle aree industriali pratesi – ha annunciato -, con presìdi, materiali in più lingue e un Camper dei diritti, per riportare legalità, diritti e dignità nel lavoro”.
Reazioni diverse fra piccole e grandi imprese
Accanto al fronte sindacale e politico, anche le associazioni di categoria della piccola impresa intervenute al convegno di Prato hanno sottolineato la centralità del tema della responsabilità condivisa lungo la filiera. Moreno Vignolini, presidente di Confartigianato Moda, ha richiamato la necessità di “tenere in primo piano anche la reputazione e la credibilità del Made in Italy stesso” e di “qualificare le aziende sane di questa filiera”. Un obiettivo che, secondo Vignolini, può essere raggiunto solo coinvolgendo “tutti gli attori della filiera, dal primo cenciaiolo all’ultimo confezionista”. Posizione analoga è stata espressa da Antonio Franceschini, responsabile nazionale di Cna Federmoda, che ha ricordato come l’associazione abbia proposto indicazioni al Ministero, “soprattutto quelle di trasparenza lungo la filiera, di non esentare nessuno dall’assunzione di propria responsabilità, e di fare anche riferimento a condizioni di trasferimento corretto di valore economico lungo la filiera”. Cna Federmoda auspica che “già a gennaio si possa convocare il tavolo per definire una misura condivisa tra tutte le parti sociali interessate”.
Al contrario, Camera Nazionale della Moda Italiana, Altagamma, Confindustria Moda e Confindustria Accessori Moda, in rappresentanza delle aziende più grandi – dunque, anche le capofila delle filiere – esprimono “rammarico e preoccupazione per il rinvio di un intervento normativo di importanza strategica e ribadiscono, quindi, l’urgenza di dotarsi in tempi brevi di una legge nazionale sulla certificazione della filiera, strumento essenziale per tutelare i lavoratori, sostenere le imprese, rafforzare la credibilità del Made in Italy e contrastare fenomeni di illegalità”. La proposta di legge elaborata da Cnmi, Altagamma, Confindustria Moda e Confindustria Accessori Moda, sostengono le associazioni, “non contiene scudi penali e resta un punto di riferimento finalizzato a introdurre una chiara disciplina che contenga anche un contraddittorio, diritto garantito dalla nostra Costituzione, e che sia capace di promuovere trasparenza, responsabilità e fiducia lungo tutta la filiera produttiva, assicurando al contempo la certezza della pena per coloro che concretamente pongono in essere comportamenti illegali”.
Leonardo Testai