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02 ottobre 2025

Contratti di lavoro: il periodo di prova, strumento da usare con cura

Sull’utilizzo di questa fase lavorativa riceviamo dall’avvocato Andrea Del Re questa riflessione che pubblichiamo.

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di Andrea Del Re, avvocato dello Studio Legale Del Re

Il patto di prova apposto al contratto di lavoro è a tutti gli effetti una clausola contrattuale e va utilizzato con scrupolo non trascurando i vincoli da rispettare, così da arginare il rischio di contenziosi. Lo conferma la recente sentenza della Cassazione n.24201/2025 che, considerata anche la pronuncia n.128/2025 della Corte Costituzionale, ha affermato che il licenziamento intimato per mancato superamento del periodo di prova basato su un patto affetto da nullità, è un licenziamento privo di giustificazione.

Sarà da sottolineare che datore di lavoro e prestatore di lavoro possono concordare un periodo di prova anteriormente all’instaurazione definitiva del rapporto di lavoro, per valutare la reciproca compatibilità, ovvero da parte del datore per stimare l’attitudine del lavoratore all’esecuzione dell’attività lavorativa, e da parte del lavoratore la compatibilità con l’ambiente e le mansioni affidategli. Sebbene durante la vigenza del periodo di prova, il lavoratore possa rassegnare le proprie dimissioni senza rispettare il termine di preavviso contrattualmente previsto e il datore di lavoro possa recedere dal rapporto per mancato superamento del periodo di prova (che può avere durata massima legale di sei mesi) il patto di prova deve sottostare a quanto previsto dall’art.2096 c.c., pena la sua invalidità e la costituzione ab origine di un rapporto di lavoro definitivo. Si richiede, infatti: la forma scritta ad substantiam; la specifica indicazione delle mansioni oggetto della prova; la proporzione tra la durata della prova e le mansioni affidate, oltre alla necessità di sottoscrizione antecedente o contestuale all’inizio dell’attività lavorativa. In assenza di un patto validamente sottoscritto, il recesso per mancato superamento del periodo di prova sarà da qualificare come ordinario licenziamento privo di giustificazione.

Secondo la Suprema Corte: “In ipotesi di nullità genetica del patto accidentale contenuto nel contratto individuale di lavoro, come può essere il caso della mancata stipula del patto di prova per iscritto in epoca anteriore o almeno contestuale all’inizio del rapporto di lavoro oppure il caso della mancata specificazione delle mansioni da espletarsi (per tutte Cass. n. 17045 del 2005, come nel caso di specie), è stato affermato che la cessazione unilaterale del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova è inidonea a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e non si sottrae alla disciplina limitativa dei licenziamenti (Cass. n. 16214 del 2016; Cass. n. 17921 del 2016). Invero, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare che la nullità della clausola che contiene il patto di prova, in quanto parziale, non si estende all’intero contratto ma determina la automatica conversione dell’assunzione in definitiva sin dall’inizio, in conformità del meccanismo prefigurato dall’art. 1419, comma 2 cod. civ.”.

L’avvocato Andrea Del Re è fondatore dello Studio Legale Del Re, Firenze-Milano www.delre.it

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