Il segretario generale della Uil Toscana Paolo Fantappiè.
Prosegue il dibattito aperto dalla presentazione dalla presentazione, all’Istituto Universitario Europeo, del manifesto “Reindustrializzare la Toscana” scritto da Marco Buti, insieme a Stefano Casini Benvenuti e Alessandro Petretto e dal dal segretario della Uil Toscana Paolo Fantappiè riceviamo questo intervento che volentieri pubblichiamo.
di Paolo Fantappiè, segretario generale UIL Toscana
La Toscana vive una fase di stagnazione che rischia di diventare strutturale i dati ci dicono che il PIL nel 2024 è stagnante, essendo cresciuto appena dello 0,6%, meno della media nazionale. La nostra regione non ha più un settore trainante: il turismo regge solo grazie alla componente straniera, ma oggi anche quello americano mostra segnali di rallentamento; il farmaceutico è sotto pressione per i dazi, la meccanica e la siderurgia hanno perso centralità. Basta guardare a realtà come il polo di Piombino, la Venator, l’ex GKN: simboli di una deindustrializzazione che erode ricchezza e prospettive.
A queste crisi si aggiungono quelle dell’artigianato ed in particolare della moda. Guardando alla struttura produttiva ci accorgiamo di come essa sia frammentata: su 365 mila imprese, oltre 347 mila sono microimprese con meno di nove addetti, mentre le grandi aziende sono appena 338. Così il tessuto economico si indebolisce e diventa più fragile di fronte alle crisi: le microimprese non riescono a sostenere in modo efficace investimenti su innovazione ed ambiente, perdendo competitività sul mercato.
Salari bassi, consumi in calo e squilibrio demografico
Alla crisi industriale si somma quella sociale. I salari in Toscana restano bassi: nel settore privato la retribuzione media giornaliera è di 76 euro per le donne e 100 per gli uomini, valori sotto la media nazionale, con un gap di genere del 25%. Non stupisce che in questo quadro i consumi interni calino, alimentando un circolo vizioso di lavoro povero e precarietà.
A proposito di lavoro povero, sono 250mila i toscani che guadagnano meno di mille euro netti al mese, una cifra che non garantisce una vita dignitosa. Il part-time involontario coinvolge il 45% delle lavoratrici e contribuisce a redditi insufficienti. Per questo motivo serve dare una nuova spinta ai salari ed alla creazione di un lavoro stabile e di qualità. Sul fronte demografico, il quadro è ancora più allarmante: migliaia di giovani tra i 18 e i 39 anni emigrano, mentre il saldo naturale è negativo.
L’immigrazione (20 mila arrivi) non basta a riequilibrare le perdite, e la popolazione invecchia. I NEET, i giovani che non studiano né lavorano, sono l’11%: meno della media nazionale, ma comunque una percentuale che segnala la difficoltà di dare prospettive alle nuove generazioni. Una Toscana senza giovani e senza consumi rischia di perdere energia vitale e futuro.
Cosa serve per ripartire
Questa regione può ancora rialzarsi ma serve una svolta. Sono stati assegnati alla Toscana circa 12 miliardi tra PNRR e fondi strutturali europei. Non possiamo pensare di disperdere in piccoli progetti di restyling urbano queste ingenti risorse che devono diventare al contrario motore di sviluppo vero e non solo finanziamenti a pioggia ; serve indirizzarli verso investimenti su digitalizzazione, intelligenza artificiale e transizione ecologica. Solo così si creerà lavoro stabile, ben retribuito e duraturo. Così come devono essere previste sanzioni per le aziende protagoniste del cosiddetto “colonialismo imprenditoriale”: imprese straniere che arrivano, fanno utili, diventano egemoni dell’economia toscana salvo poi delocalizzare in un batter d’occhio ai primi segnali di rallentamento, lasciando macerie sul territorio.
Al tempo stesso dobbiamo rafforzare la formazione tecnica e professionale, orientare i giovani verso ITS e scuole specializzate: serve intervenire miratamente per combattere il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. A parer nostro è quanto mai impellente superare il nanismo imprenditoriale che soffoca la Toscana, sostenendo fusioni e aziende più strutturate: il modello attuale di microimpresa non è in grado di sostenere efficacemente gli investimenti in innovazione, digitalizzazione e transizione verde, che renderebbero più competitive sul mercato le imprese toscane. Così come, in ottica salari, con la microimpresa non si può sviluppare un sistema di contrattazione integrativa che sostenga le retribuzioni e funga da volano per il recupero dei consumi interni.
Chiediamo che anche gli istituti di credito facciano la propria parte: non dimentichiamo che da pochi giorni è presente in Toscana il terzo polo bancario italiano (MPS). Infine, serve intervenire sui costi dell’energia valorizzando la geotermia, che già oggi copre metà del fabbisogno energetico regionale.
Per noi la risposta è chiara: serve un Patto per lo sviluppo della Toscana 2030, che metta insieme istituzioni, imprese e sindacati. Un patto che indichi priorità, obiettivi e risorse, perché senza una visione condivisa questa regione rischia di precipitare. La UIL Toscana è pronta a fare la sua parte: il tempo per agire è adesso, non possiamo rischiare che questa crisi complessa si aggravi e che sia troppo tardi.
Per approfondire leggi anche:
Russo (Cisl): “invertiamo una tendenza che sta rendendo la Toscana più povera”
Rossi (Cgil): “La Toscana rischia di perdere la propria manifattura”
Bigazzi (Confindustria): “Senza industria non c’è futuro” per la Toscana